Ritardo

Gli capita spesso di pensare alle vite dei pesci, ai tentativi di fuga mai applicati.

I nuovi regionali veloci garantiscono una puntualità del 95%, pressoché totale. Gli scompartimenti sono insonorizzati, scivolano sulle rotaie come se fossero d’olio. L’habitat è ospitale, ma come distaccato dalla realtà circostante. Ci sono frammenti di paesaggio e frammenti di case, dimore umane e non, lavori di ripristino due to the reactivation of the train line in Casalpusterlengo station.

Al mattino è dolce mantenersi nel limbo tra sonno e veglia, cullati dal ronzio del riscaldamento che non smette mai, rumore bianco irreale che è la colonna sonora perfetta del viaggio. Vorrebbe che la sosta si prolungasse ancora un po’. Da qualche mese ha un tremore alle mani, una vibrazione che è riuscito finora a nascondere agli altri. Effetti collaterali, direbbero. Pensa che la vita va sempre nel modo in cui non deve, è come un fiume che segue la pendenza senza andare da nessuna parte.

La Pianura Padana è come la sua anima: ibernata. Le attività di ripristino si stanno dilungando, ma il treno dovrebbe ripartire tra dieci minuti, una voce altoparlantizzata lo garantisce. Nessuno sembra preoccupato, non si colgono segni di irritazione sui volti degli altri abitanti del treno. Oltre al finestrino può vedere solo qualche ciuffo di verde, un albero di cui non conosce il nome, di cui nessuno conosce il nome. C’è nebbia, è una costante di questa stagione. Appesa alla parete una techetta in plexiglas reca un martello che, in caso di emergenza, si può utilizzare per infrangere il vetro. Le uscite di sicurezza sono ben segnalate.

Tutto è sospeso e ovattato, come in certi bei sogni, quelli più rari. Checché ne dicesse Freud, buona parte dell’attività onirica consiste in eruzioni magmatiche di un cervello ancestrale, nell’emergere di paure ataviche e animalesche. La paura di essere squartato, la paura del temporale, di essere abbandonato dal proprio branco. Ben poco a che vedere col desiderio. Ma a volte, bisogna riconoscerlo, i sogni sono piacevoli.

Ogni vivente nel treno è nella sua bolla, molti con le cuffiette, qualcuno sonnecchia, chi guarda il cellulare. Una ragazzina sbadiglia di fronte a una distesa di appunti, che ha sparso sui sedili antistanti. Siamo nell’ultimo vagone, quello di coda. L’abitacolo del controllore è segnalato da una striscia gialla e nera e costellato di segnali di pericolo, come se fosse un reattore nucleare. Sugli schermi incastonati nella plastica dell’Hitachi il ritardo continua ad aumentare. Ogni tanto, una telecamera di sicurezza trasmette le immagini dello scomparto di sotto, al piano-terra. Si vede la porta del treno aprirsi, il controllore che si accende una sigaretta. Quando rientra ha lo sguardo stanco, sconfitto. In lontananza bagliori blu a intermittenza, la nebbia si sta diradando. I lavori di rimozione dei frammenti a volte impiegano più del previsto, in base alla dinamica dell’impatto è possibile che gli addetti debbano faticare per un’intera mattinata.

Il treno dovrebbe ripartire within ten minutes.

Tutto è calmo, sospeso a mezz’aria. La vita procede come un treno, inesorabile.