Rimedi per l’insonnia

Al principio era Dio e nient’altro. Tutto era Dio, e Dio era tutto. Non esistevano gli alberi, l’odore delle candele che bruciano, il brivido della pelle quando si fa l’amore e una miriade di altre cose cui siamo ormai abituati. Ovviamente risulta difficile, per noi mortali, pensare a un Essere così sfuggente ma, al contempo, necessario: mille nomi abbiamo inventato, ma nessuno di essi riesce ad avvicinarci nemmeno di un soffio a Lui. Del resto anche le parole e i concetti che esse rappresentano sono venuti dopo, molto dopo. Dapprima nessuno sapeva che cosa fosse un nome, anche perché non esisteva nessuno. O meglio, esisteva solo Dio. Ma il punto essenziale della nostra storia non è questo.

Il fatto è che, a un certo punto, accadde qualcosa.

Non sappiamo bene il perché, ma nella mente di Dio, eternamente immobile e rivolta a sé stessa, vi fu una sorta di perturbazione. Immaginate uno stagno di montagna, circondato dagli arbusti: uno di quei laghetti glaciali, talmente placidi da riflettere con esattezza la volta celeste. Ora un sasso rotola giù dalle pendici scoscese, fino a tuffarsi proprio al centro del laghetto, e tutta la superficie d’improvviso si increspa, ampi cerchi concentrici si dipartono da quel punto originario nel quale la quiete si è interrotta. Lo specchio non riflette più, per qualche istante la visione si fa caotica e anche il cielo sembra andare in frantumi. Così anche Dio, al principio del mondo così come noi lo conosciamo, aveva smesso di riflettere. E in questo infinitesimale istante di pausa si era accorto, non senza un certo sgomento, che in realtà non stava pensando a nulla. Del resto come avrebbe potuto pensare a qualcosa, se esisteva solo Lui? Ben presto si rese conto di non essere più tanto sicuro di esistere: in fin dei conti come poteva averne la certezza, se non si era mai rispecchiato in uno stagno di montagna? “Certo”, si diceva Dio, “in questo momento sono sicuro di star pensando…” Eppure anche questa gli sembrava una certezza a dir poco labile: chi gli garantiva di star davvero pensando, se non c’era niente e nessuno intorno a Lui?

Era una situazione a dir poco paradossale. Lui, l’Onnipotente, che dubitava della propria stessa esistenza! Eppure, ormai ne siamo certi, le cose devono essere andate più o meno così: bastò l’ombra fuggevole di un dubbio per mettere in crisi Dio in persona, e da quel momento nulla fu più come prima. Dapprima Egli sperimentò l’angoscia, l’immensa vertigine di cadere in un pozzo nero e senza fine, per l’eternità: e non aveva appigli cui aggrapparsi per rallentare la sua caduta perché niente, nulla esisteva al di fuori di Lui. E poi fu la disperazione, la ferma consapevolezza di essere dannato. Non sapeva chi era, non sapeva nemmeno se esisteva. Era lì, rannicchiato come un essere informe, carcerato in un mondo che terminava con i confini del suo Io.

Ma quale Io?

Era questa la domanda che più lo tormentava. Dio urlò ed era un grido strozzato e senza voce, come quello di chi, in preda all’incubo, vorrebbe scappare da un’ombra che lo insegue: ma non arriva mai la voce a dargli supporto, e i piedi sembrano come invischiati al suolo. Così si contorceva e piangeva un fiume di lacrime, senza avere mai riposo dal suo strazio.

Ma poi lo notò.

Era un vago bagliore, qualcosa che luccicava molto lontano, oltre di sé. Inizialmente Dio pensò di ingannarsi, di avere un’allucinazione: niente di più facile che fosse impazzito, nella situazione in cui si trovava. Forse era un po’ come il viandante smarrito nel deserto: desiderava a tal punto trovare un’oasi che, alla fine, aveva finito per vederla davvero, e gli sembrava di scorgerne il profilo che si stagliava all’orizzonte. Così rimaneva sospettoso e non voleva farsi prendere da un facile entusiasmo. Eppure quel lumicino era sempre lì, immobile e quieto. Allora si fece coraggio e cercò di guardare meglio.

Una microscopica gocciolina, perfettamente sferica, galleggiava in mezzo al nulla. La superficie era iridescente come una bolla di sapone, e rifletteva qualcosa: una luce, per l’appunto. Ma da dove provenisse non era affatto chiaro. E poi d’improvviso Dio capì: quel bagliore doveva per forza venire da Lui stesso, non c’era altra spiegazione. In fondo c’era soltanto Lui; Lui, e quella strana goccia di cui ignorava la natura, così attraente e al contempo misteriosa. Forse era sempre stata lì, o addirittura si trattava di qualcosa di più antico di Dio stesso. O forse era una delle sue lacrime di disperazione, cristallizzata chissà come in quella forma rotondeggiante. E per quanto fosse minima e d’aspetto insignificante, Dio non poté non notare che, da quando c’era anche lei, si sentiva meno disperato. Di più: sentiva nascere dentro di sé un nuovo moto dell’animo, qualcosa che al giorno d’oggi, forse, chiameremmo curiosità. Si muoveva intorno a quell’unico punto fermo e lo rimirava in ogni dettaglio, come se fosse un prezioso tesoro, ammaliato da una bellezza così elementare. E a ogni minimo spostamento la luce lo seguiva, brillando ammiccante, come una sorta di invito che lo attraeva a sé, sempre più vicino…

Ma nel suo avvicinarsi, Egli notò una cosa strana: la goccia sembrava farsi sempre più grande, e la luce sempre più accecante. Ora era talmente vicino da poterla sfiorare, ma ormai la goccia non era più tale; piuttosto si era fatta enorme come un globo, e splendeva perlacea dinnanzi a Dio. Poi vi fu come un’esplosione, e Dio fu catapultato oltre al sottile velo della tensione superficiale, dentro al cuore della goccia.

Quello che gli si mostrò lo lasciò sbigottito.

Un intero universo, in continua espansione, si stendeva per millenni-luce davanti a sé, oscuro, profondo e misterioso. Dio faceva scorrere il suo sguardo su ogni cosa, e ogni cosa era una scoperta nella quale smarrirsi, perché ciascun dettaglio ne rivelava altri dieci nascosti, ma non meno strabilianti. Volteggiava fra le galassie, si perdeva nelle nebulose e si riscaldava alla luce delle stelle più ardenti; e poi pianeti rocciosi, atmosfere, enormi crateri traboccanti di magma… Ogni cosa era nuova per Lui, e si divertiva a trovare per ognuna il nome appropriato. Per anni e anni il suo sguardo perlustrò gli angoli più remoti dell’universo, impartendo la sua benedizione sopra a tutte le cose. E gli anni trapassarono in secoli, i secoli in millenni e i millenni in interminabili ere geologiche.

Finché il suo occhio non si posò, un giorno, sopra a un oggetto che attirò la sua attenzione più di ogni altra cosa. Da lontano sembrava un pianeta come tutti gli altri, avvolto da una tenue coltre di foschia: ma a un’occhiata più attenta esso rivelava una strana tonalità celeste, decisamente insolita per un ammasso roccioso di quel tipo. E guardando da più vicino poteva scorgere distese e distese di acqua, che risplendevano sotto ai raggi di una stella ancora giovane e sana, ricordandogli quella piccola misteriosa goccia dalla quale una volta si era fatto catturare. C’erano catene montuose imbiancate di neve e sterminate pianure, foreste lussureggianti e atolli sperduti: tali erano le meraviglie che poteva ammirare su quel pianeta che a Dio sembrò di aver trovato un altro universo, forse persino più ricco di quello nel quale era contenuto.

La cosa che più lo meravigliava era che, da qualsiasi parte guardasse, miriadi di esseri viventi pulsavano sotto al suo sguardo. Ogni angolo di quel mondo brulicava di microbi, di insetti, di uccelli del cielo e del mare. Infinite erano le cose preziose dell’universo – pensava Dio – ma quelle vive erano le più speciali, quelle a Lui più care. Così poteva passare giorni e giorni a rimirare nel dettaglio la vita di un toporagno, o una foresta di betulle che, silenziosa ma caparbia, cresceva espandendosi in ogni direzione.  Per la prima volta gli sembrava quasi di aver trovato un posto dove avrebbe voluto restare per sempre, qualcosa che forse noi mortali chiameremmo casa.

Fra tutte le creature una era la sua prediletta, sebbene all’apparenza somigliasse a una sottospecie di scimmia, sgraziata e senza peli, che vagabondava per il mondo con un’andatura malferma. Eppure quell’essere – che aveva chiamato Uomo – sembrava il solo in grado di accorgersi di Lui. Tutto il resto dell’universo pareva come indifferente alla sua presenza, ma non l’Uomo: talvolta, quando il suo sguardo si posava sopra a uno di quei buffi individui, poteva osservarlo sollevare il capo verso il firmamento, scrutando qualcosa in lontananza, con un’espressione di vaga inquietudine stampata sul volto. E i suoi occhi… Più di una volta gli era parso di cogliervi uno strano scintillio, un vivace bagliore che pareva quasi volerlo sfidare. Allora si sentiva come irresistibilmente attratto, doveva avvicinarsi fino a carpire l’essenza più profonda racchiusa in quegli occhi, perché soltanto in essi sentiva di potersi rispecchiare.

Così un giorno come tanti era disceso fin quasi al suolo, osservando un gruppo di umani radunati intorno al fuoco. Alcuni dormivano avvolti da spesse pellicce, ma altri erano vigili e attenti. Dio osservò una di quelle figure, che si stagliava in controluce dinnanzi alle fiamme. Era una giovane donna, i suoi occhi erano dolci e del colore dell’ambra e fissavano lontano, oltre l’orizzonte. Tutte le stelle del firmamento sembravano proiettare i loro raggi sul suo volto, rischiarandolo. Vacillò. C’era una brezza leggera ma costante, che spirava da est portando via il fumo al di là delle cime degli alberi.

Allora Dio pensò che, dopo aver visto così tanta bellezza, avrebbe anche potuto dormire in pace.

Per la prima volta chiuse gli occhi, e un lungo sonno senza sogni lo colse.