Storia di una bambina che non voleva parlare

Da qualche tempo aveva iniziato a frullarle nella testa una domanda sul Mondo, della quale non riusciva proprio a venire a capo. Aveva sempre visto le cose stagliarsi nitide e ferme nella realtà, con contorni netti, quasi come fossero state scolpite nel nulla da una mano esperta. Ogni oggetto aveva il suo preciso significato, che il più delle volte coincideva con ciò a cui serviva, e non aveva bisogno di un nome. Un ruscello serviva per trovare frescura nelle giornate più calde: bastava avvicinare le mani a coppa alla superficie e portarle al viso per avere un sollievo. L’acqua si scomponeva in miriadi di goccioline che rotolavano sulla sua pelle e la umettavano, disperdendosi con il calore del suo corpo. Ognuna di quelle goccioline era un oggetto a sé stante, anche se proveniva dal medesimo ruscello. E il chiosco dell’edicolante serviva per ripararsi dalla pioggia durante gli acquazzoni estivi, quando il brutto tempo la sorprendeva nel tragitto verso casa. Oppure, ogni domenica, serviva a comprare il giornale per Papà, allungando la manina oltre ai pacchi di riviste per porgere le monete all’uomo che la scrutava dall’alto.

Le persone erano oggetti anche loro, solo un po’ più complicati. Ad esempio la Mamma serviva a prepararle da mangiare, a rassicurarla quando aveva paura, ad accarezzarle i capelli sussurrandole che le voleva tanto bene e qualche volta anche a sgridarla, con parole cattive. Quelle parole le laceravano la carne come tanti spilli aguzzi. Non aveva alcuna difesa. Allora si chiudeva nella sua stanzetta e piangeva, perché sentiva le parole conficcate nella pelle e non riusciva più a staccarsele di dosso.

Le parole erano un oggetto che non riusciva proprio a spiegarsi. A volte mentre cercava di parlare la bambina s’interrompeva di scatto al pensiero che la sua bocca si muovesse come per incanto, senza che lei ne avesse consapevolezza. Provava a capire dove avessero origine quei suoni strani e disarticolati che sentiva inerpicarsi su per la gola, e dove si generassero i concetti che voleva esprimere: ma a questo non riusciva a trovare risposta. Così sempre più le pareva di non essere davvero lei a parlare, come se ci fosse uno strano omino nella sua testa che ne dirigesse pensieri ed espressioni. Quando aveva queste idee iniziava a tremare e la vista le si annebbiava per un istante, perché per un istante le sembrava di essere un niente. Ci voleva tempo, poi, per ricostruire il filo sottile che la collegava ai suoi pensieri e al suo Linguaggio, ma alla fine tutto ritornava come prima. Eppure, le rimanevano sempre le stesse domande in sospeso, senza che nessuno dei grandi potesse darle una risposta. Del resto, come avrebbe potuto accettare una risposta fatta di altre parole, altrettanto infide e sfuggenti come quelle che cercavano di farle vomitare ogni giorno? Per quanto si arrovellasse, non trovava che altre legioni di parole pronte a invaderle la mente, occultando ogni possibilità di comprendere.

Che cosa erano le Parole? Quali colori avevano, quale consistenza? Di che materia erano fatte? Perché non riusciva a carpirne i contorni e le sfumature mentre aleggiavano nello spazio intorno a lei, ineffabili come i sogni? A che cosa serviva tutta quella bislacca accozzaglia di suoni, quel voler a tutti i costi imbrigliare la realtà dentro a gabbie fatte di lettere appuntite? Eppure, i grandi sembravano prendere molto sul serio la faccenda del parlare. Ogni giorno la osservavano facendo espressioni buffe e un po’ forzate, muovendo la bocca al rallentatore e scandendo bene ogni parola, come per assicurarsi che la carpisse nella sua essenza. La trattavano come se non capisse, come se fosse appena nata.

Un giorno, ritornando dall’asilo, insieme al Nonno aveva visto la carcassa di un cane investito ai margini della strada. Il Nonno le aveva spiegato che probabilmente qualcuno si era stancato di averlo in casa, così l’aveva caricato in macchina e poi lasciato lì, per strada. “Le macchine corrono veloci, in quel punto”, diceva il Nonno stringendole la mano.

La bambina pensava tante cose, ma non aveva le parole per dirle.